I LAOGAI campi di concentramento nella Cina capital-comunista

Oggi in Cina vi sono almeno 1045 LAOGAI, dove milioni di uomini donne e bambini sono condannati ai lavori forzati a vantaggio economico del regime comunista cinese e di numerose multinazionali che investono o producono in Cina. Mao Zedong inaugurò i LAOGAI nel 1950 seguendo il modello staliniano dei GULAG.
Mentre i LAGER nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GULAG sovietici sono in disuso dagli anni ’90, i LAOGAI cinesi sono tuttora operanti. La parola LAOGAI è in realtà una sigla ricavata da “LAODONG GAIZAO DUI” e significa “riforma attraverso il lavoro”.
I LAOGAI sono tuttora strettamente funzionali allo stato totalitario cinese per il doppio scopo di perpetuare la macchina dell’intimidazione e del terrore, con il lavaggio del cervello per gli oppositori politici; e di fornire un’inesauribile forza lavoro a costo zero.

Le condizioni di vita nei LAOGAI sono orribili. L’orario di lavoro arriva fino a 16 ore al giorno, secondo il tipo di attività praticata (industria, campi o miniere). Sicurezza ed igiene non esistono. Il giaciglio è sulla nuda pietra. Il cibo è inadeguato e sempre somministrato in proporzione al lavoro eseguito. La fame è la fedele compagna del detenuto. Fortunato chi lavora nei campi perché può trovare serpenti, rane e tane di ratti con chicchi di soia o grano per sfamarsi. Sfortunato il detenuto che lavora nell’industria in città. I pestaggi e le torture sono all’ordine del giorno. Frequenti le scariche elettriche e la sospensione per le braccia. Manfred Nowak, inviato delle Nazioni Unite che ispezionò nel dicembre 2005 alcune prigioni in Cina, ha denunciato il continuo abuso della tortura e chiesto al Governo di Pechino di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non violenti o per ragioni economiche. Nel suo rapporto del 10 marzo 2006 ha denunciato anche le confessioni estorte con la tortura. Le punizioni nei LAOGAI includono pure l’isolamento forzato per numerosi giorni, quasi sempre senza cibo, in cellette di circa due-tre metri cubi, in compagnia dei propri escrementi. Non è sorprendente che tale clima di abusi, fame, continui maltrattamenti e vessazioni induca i detenuti persino al suicidio.

La peculiarità del sistema LAOGAI, rispetto ai precedenti modelli sovietici e nazisti, è il sistematico lavaggio del cervello del detenuto. Questo si attua mediante l’indottrinamento politico quotidiano sulle verità infallibili del comunismo e mediante l’autocritica.
L’indottrinamento politico si effettua con “sessioni di studio” giornaliere, che hanno luogo dopo le lunghe e dure ore di lavoro forzato. L’autocritica ha, invece,. luogo davanti ai sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata a “riformare” la personalità di chi si auto-accusa. Innanzitutto si devono elencare e analizzare le proprie colpe. Successivamente ci si deve accusare pubblicamente di averle commesse, procedendo alla riforma della propria personalità, per diventare una “nuova persona socialista”. E’ necessario infine mostrare – con i fatti – la propria lealtà al Partito, spesso denunciando i propri amici e parenti, i quali a loro volta sono costretti ad accusare e condannare il detenuto.

Tutto ciò continua ancora oggi, nel terzo millennio. Lu Decheng, uno dei tre famosi giovani che lanciarono gusci d’uova pieni di vernice sul ritratto di Mao Zedong in Piazza Tian An Men il 23 maggio del 1989, detenuto nei LAOGAI per 9 anni, durante la sua intervista con l’agenzia di stampa Asianews, il 4 giugno 2007, illustra la sua esperienza nei LAOGAI. Ha detto Lu Decheng “Ho passato 9 anni in un laogai (campo di lavoro forzato, di “riforma attraverso il lavoro”). Era in realtà una fabbrica che produceva autoveicoli. Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al giorno. Dopo il lavoro dovevamo seguire le “sessioni di studio”, di indottrinamento forzato, che dovevano trasformarci in persone fiduciose nel socialismo. La situazione oggi in molte fabbriche della Cina è come ai lavori forzati.

Tuttora gli arresti e le uccisioni nei LAOGAI continuano. Una parte della grande struttura dei LAOGAI si chiama LAOJIAO (Laojiaosuo o rieducazione attraverso il lavoro). Il LAOJlAO è un sistema di “detenzione amministrativa” per cui si può essere imprigionati direttamente dalla polizia senza nessuna sentenza, fino a 3 anni. Il LAOJIAO è infatti, principalmente, usato per le persecuzioni contro dissidenti, religiosi e credenti di tutte le religioni. Il Governo Cinese ha recentemente comunicato una proposta di legge che riformerà il sistema dei campi di lavoro forzato, LAOJIAO. Secondo Amnesty International, però, il tema della riforma della “rieducazione attraverso il lavoro” (LAOJlAO) è nell’agenda legislativa cinese da oltre due anni. Nel suo comunicato del 18 ottobre 2007, la stessa organizzazione ha chiesto al Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo di garantire che qualsiasi normativa sostituisca quella oggi in vigore sia perfettamente in linea con gli standard internazionali sui diritti umani, compresi il diritto a un giusto processo e la libertà dagli arresti arbitrari. Purtroppo spesso le “riforme” proposte all’interno del regime cinese sono solo modifiche cosmetiche dirette alla “ricostruzione di immagine” del paese, che deve apparire “armonioso” in ogni suo aspetto. Infatti, secondo un articolo di Voice of Asia del 1° marzo 2007 Luo Gan, capo della Commissione Giustizia, ha confermato l’importanza di mantenere il sistema del LAOJIAO. 

Il LAOJIAO è lo strumento prioritario di repressione contro il Falun Gong, una pratica religiosa cinese con elementi di confucianesimo, buddismo, taoismo ed esercizi fisici. Infatti, dal 1999 è in corso una durissima persecuzione contro i Falun Gong, che vengono arrestati e uccisi e i cui organi, principalmente il fegato, i reni e la cornea, vengono venduti a clienti cinesi, asiatici e occidentali per alti profitti. La stampa internazionale, il Congresso USA e numerosi politici hanno denunciato questo crimine (Nota 5). David Kilgour, ex segretario di stato canadese, e David Matas, avvocato, hanno pubblicato un rapporto sulla “Conferma di espianti di organi a praticanti del Falun Gong”. Questo rapporto è stato rivisto ed aggiornato nel gennaio 2007.

Come abbiamo detto, il secondo scopo dei LAOGAI è quello di fornire un’enorme forza lavoro a costo zero. L’importanza economica dei LAOGAI per il regime cinese è anche fondamentale per conquistare i mercati stranieri. Mentre, inizialmente, la produzione nei LAOGAI riguardava articoli e prodotti di facile esecuzione, destinati soprattutto al mercato interno, oggi, nei LAOGAI si produce di tutto: giocattoli, scarpe, articoli per la casa, mobili, macchinari di ogni genere, prodotti tessili ed agricoli, computer, componenti elettronici, autobus, etc., coprendo ogni settore merceologico. La produzione ora non è più solo per il mercato interno, ma soprattutto per l’esportazione. Poiché nasce da una forza lavoro a costo zero, la produzione dei LAOGAI è in continua crescita.

In Cina vige ancora la dittatura del Partito Comunista che controlla i tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario. Il sindacato, di proporzioni minime con centoquarantamila membri su una popolazione di oltre un miliardo e trecento milioni di persone, è anche sottoposto al regime. Il lavoratore senza diritti è, quindi, anche senza difesa. Il Partito Comunista Cinese rappresenta, dunque, il migliore partner commerciale per qualsiasi impresa nazionale o multinazionale, cinese o straniera, il cui solo scopo sia l’alto profitto, senza scrupoli. Non è un caso che il costo del lavoro cinese sia il 5% del costo del lavoro nell’UE. La Cina vanta ormai i due terzi della produzione mondiale di macchine fotocopiatrici, forni a microonde, lettori DVD, giocattoli e calzature. Vanta anche più della metà della produzione mondiale di videocamere digitali e circa i due quinti di quella dei computer. L’Italia è il paese più danneggiato, all’interno dell’UE, dall’invasione dei prodotti cinesi in tutti i settori: il tessile, i mobili da cucina, l’oreficeria, la rubinetteria, le calzature etc., sia nel mercato interno sia nell’esportazione.

Per sostenere questo sistema produttivo, nel 2003, il Ministero della Giustizia Cinese ha elaborato una serie di leggi per aumentare le contribuzioni finanziare e gli investimenti nei LAOGAI. Oltre ai LAOGAI esiste, in Cina, una vastissima rete di “fabbriche-lager”, con paghe ridicole, ferie praticamente inesistenti, salari pagati in ritardo, ore straordinarie obbligatorie e forfettizzate, licenziamento o pene corporali per le negligenze sul lavoro e mancata indennità per i licenziati. Di questa rete parla spesso Federico Rampini de “La Repubblica”.
Lu Decheng, durante una recente riunione al Parlamento Italiano, alla domanda di un parlamentare che chiedeva se l’attuale situazione economica non stia in realtà migliorando la vita del popolo cinese, ha risposto con un vecchio proverbio “La Cina è ricca ma il popolo è povero. Almeno 1’80% della popolazione cinese è sfruttata nelle fabbriche-lager, nelle campagne e nei LAOGAI a vantaggio di una minoranza di circa il 15-20% spesso collegata al Partito”.
Quindi la tanto decantata “competitività cinese” nasce principalmente dal lavoro forzato dei laogai e dallo sfruttamento umano nelle fabbriche-lager.

La stampa internazionale, Amnesty International, Human Rights Watch e numerose altre organizzazioni umanitarie internazionali hanno condannato il sistema dei LAOGAI e la violenta repressione del dissenso in Cina. Nel febbraio 2005, un rapporto del Gruppo di Lavoro dell’ONU sull’Imprigionamento Illegale ha condannato le leggi repressive cinesi. Nel maggio dello stesso anno, anche il Comitato dei Diritti Sociali ed Economici delle Nazioni Unite ha richiesto alla Cina l’abolizione del lavoro forzato. Il 16 dicembre 2005, il Congresso USA, con una maggioranza di 413 voti a 1, ha approvato la Risoluzione del Deputato WOLF (H. Con. RES. 294) che denuncia il sistema dei LAOGAI, la repressione religiosa, le esecuzioni di massa, il traffico di organi umani e la continua violazione dei diritti umani in Cina (Nota 8). Il 10 maggio del 2007 anche il Parlamento Tedesco ha adottato a grande maggioranza una risoluzione che condanna il sistema dei LAOGAI.

Nonostante ciò, le autorità politiche ed economiche nazionali ed internazionali occidentali continuano imperterrite a collaborare con Pechino. I mass media presentano, prevalentemente, l’immagine di una Cina in prodigiosa crescita economica e con un promettente progresso sociale. Sia le une che gli altri, quindi, alimentano il consenso e l’ammirazione per questo paese dove una dittatura commette crimini mostruosi e sfrutta il proprio popolo a vantaggio di una ridotta nomenklatura di partito. Più di mezzo secolo di sanguinose stragi e di vane promesse di riscatto sociale per riscoprire .. ..il profitto. Cui prodest ?

Si dice che il commercio con la Cina migliorerà la situazione dei diritti umani in quel paese. I fatti confermano, invece, una situazione opposta. Aumentano la repressione, gli abusi, i morti e gli arresti. Le cifre ufficiali parlano di 58.000 rivolte popolari nel 2003, di 74.000 nel 2004 e 87.000 nel 2005. Non si tratta di ricchi studenti che giocano alla rivoluzione ma di autentici affamati. Inoltre, perché questo argomento (incremento del commercio = miglioramento del rispetto dei diritti umani) non fu utilizzato per il Sud Africa, per la Birmania e per l’Iraq ai quali non si è esitato ad imporre sanzioni economiche? Si afferma che il commercio con la Cina aumenta il benessere del popolo cinese. I fatti e la storia denunciano, di nuovo, una situazione diversa. Il benessere tocca una piccola parte della popolazione, come è sempre stato in tutti i regimi comunisti, dall’Unione Sovietica del 1920 alla Cina di oggi.

Si sostiene anche che il basso prezzo dei prodotti cinesi aiuti le famiglie italiane ad arrivare alla fine del mese. Invece, una delle cause principali della crisi economica italiana è proprio l’atteggiamento tollerante dell’Unione Europea e dei nostri governi che hanno permesso l’invasione di prodotti cinesi in Europa. Tale posizione ha causato delocalizzazioni, bancarotta di imprese, indebitamenti dei Governi, cassa integrazione e disoccupazione. Sono i prestatori d’opera, i salariati, le vere vittime dell’espansione economica cinese, in quanto la multinazionale compra a poco in Cina, rivende al decuplo in Italia e licenzia i suoi vecchi dipendenti italiani, troppo costosi.

Alcuni argomentano “se non ci fossero gli investimenti occidentali quei lavoratori non avrebbero neppure gli scarsi salari che hanno ora”. Questa asserzione è erronea e immorale. I compensi in Cina sono artificialmente compressi dal regime, che usa il basso costo del lavoro per attrarre gli investimenti e per pretendere poi il tacito assenso dell’occidente alla sua sistematica violazione dei diritti umani. Se in Cina fossero consentiti sindacati liberi, i salari dei lavoratori sarebbero tanto bassi e le condizioni di lavoro tanto orrende? Ovviamente no! E’ il Partito Comunista che governa la moderna schiavitù in ossequio al nuovo Dio della Cina capital-marxista: il profitto, resuscitato dallo slogan di Deng Xiaoping “arricchirsi è glorioso”. Infatti, oggi in Cina si verifica una situazione paradossale nella quale le autorità politiche ed economiche coincidono. I burocrati del partito non sono solo i garanti dell’ordine politico e sociale, ma sono anche imprenditori. Tutto è permesso nel nome del nuovo dio: il Profitto. Quindi, in nome dell’utile e del lucro, è lecito inquinare le terre e i mari, i fiumi come lo Shongua e lo Yangtse, dove è scomparso recentemente l’ultimo esemplare di delfino bianco; guadagnare sulla vendita del sangue alle multinazionali farmaceutiche; sfruttare i lavoratori ed obbligare le donne ad abortire, persino al nono mese di gravidanza, in obbedienza alla pianificazione familiare obbligatoria.

Dobbiamo ricordare il tragico caso di Chen Guang Cheng, tuttora in prigione. Chen Guang Cheng, attivista per i diritti umani, cieco, di 35 anni, si è battuto contro la campagna di aborti forzati imposta dal regime cinese nella provincia dello Shandong. Per questo è stato condannato a 4 anni e 3 mesi di reclusione. Secondo il “Times Magazine” del 9.12.05, solamente nella regione Linyi della stessa provincia, almeno 7.000 giovani donne sono state costrette ad abortire dal marzo al luglio del 2005. L’articolo del Times testimonia anche il caso della giovane Li Juan di 23 anni. Gli operatori sanitari hanno legato la giovane a un letto, hanno infilato un ago nel suo addome fino a raggiungere il feto di 9 mesi. Questo si è dapprima mosso scalciando, poi si è fermato. Dieci ore dopo la madre ha partorito una bimba morta, che si sarebbe dovuta chiamare Shuang “piena di luce”. Subito dopo il corpicino è stato immerso in un secchio d’acqua per accertare l’avvenuto decesso… Durante la stessa campagna, almeno 160 giovani donne : sono state costrette ad abortire all’ottavo o al nono mese di gravidanza.

Almeno 130. 000 aborti forzati hanno luogo in Cina ogni anno, secondo il Parlamento Britannico, che il 9.1.2007 ha presentato una mozione di solidarietà per Chen Guang Cheng. La mozione ne esige la immediata liberazione e chiede al Governo di cessare l’erogazione dei contributi del Regno Unito in favore dell’UNFPA (United Nations Population Fund), che sostiene economicamente la politica di “pianificazione familiare” del regime cinese
Ricordiamo che Solzenicyn ha ripetutamente dichiarato che il regime sovietico si reggeva solamente grazie all’aiuto tecnologico e finanziario dell’Occidente. Lo stesso vale per la Cina di oggi. Il regime comunista cinese ha bisogno della finanza e della tecnologia occidentale per sopravvivere. Quindi, il solo metodo per ottenere il rispetto dei diritti umani e migliorare sia il benessere del popolo cinese sia l’avvenire sociale ed economico delle future generazioni italiane è quello di vincolare al rispetto dei diritti umani, sociali ed ambientali qualsiasi accordo commerciale o politico con la Cina.

Purtroppo, i LAOGAI sono solo un particolare dell’attuale realtà cinese e della pedagogia del terrore, coperta da segreto di stato che in Cina si pratica. Fino a 10,000 esecuzioni di massa all’anno, davanti a folle appositamente riunite. Migliaia di organi espiantati dai condannati a morte e venduti con alti profitti. Collagene ricavato dalla pelle dei morti per produrre cosmetici. Decine di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate. Persecuzione sistematica contro i credenti di tutte le religioni. Produzione di ogni genere di merce con componenti tossici. Abuso della psichiatria a scopo repressivo politico (art. 90 del codice penale cinese). Sono questi gli altri aspetti dell’inferno cinese, che le autorità comuniste e i loro partner internazionali riescono sempre meno a tenere nascosti.
Ricordiamo che la catastrofe ambientale a scopo di profitto, l’invasione di prodotti del lavoro forzato e dello sfruttamento umano nei mercati occidentali e l’imperialismo economico e militare cinese hanno, e continueranno ad avere, un impatto sempre più negativo sulle nostre vite e su quelle delle future generazioni.

Per immaginare il futuro che ci attende, basta osservare come gli immigrati cinesi si sono insinuati nelle nostre città grandi e piccole, acquistando a prezzi non accessibili agli italiani, case e negozi contigui fra loro, fino a costituire estesi feudi dove non si parla più italiano. Entrati con passaporti scritti in cinese mandarino, mai traslitterati e utilizzabili per un infinito numero di persone col solo cambio della foto, hanno creato un universo commerciale parallelo, misterioso e sciolto dalle nostre leggi, il regno del denaro contante, in cui hanno riprodotto i rapporti illegali e violenti dei LAOGAI della madrepatria. 
Questo universo, per noi impenetrabile, si sta espandendo incontrastato a macchia d’olio 
Come abbiamo scritto sopra, le leggi e regolamenti. già in parte esistono. L ‘Italia e l’Unione Europea (UE), quindi, devono (e possono) prendere una serie di misure necessarie:
-Intraprendere una grande campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’impatto e i danni che il “boom economico cinese”, frutto del lavoro forzato e dello sfruttamento umano, produce sulle nostre vite e soprattutto produrrà su quelle delle generazioni future; 
-Unirsi al Congresso Americano ed al Parlamento Tedesco perché si approvi in ogni paese una risoluzione della. Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite che condanni i LAOGAI e la violazione sistematica dei diritti umani in Cina; 
-Applicare le leggi nazionali ed internazionali esistenti ed approvare nuove leggi che impediscano l’importazione in Italia ed in Europa di mercanzie e prodotti, che nascano parzialmente o totalmente dal lavoro forzato o dallo sfruttamento umano. Introdurre, per le imprese che importano nell’UE dalla Cina, un sistema di certificazione obbligatoria che permetta anche di identificare i luoghi di produzione, da “aprire” e mostrare agli ispettori della dogana dell’UE ed ai rappresentanti delle organizzazioni umanitarie; 
-Pretendere l’applicazione universale delle “clausole sociali” e delle “clausole ambientali”. Esigere che tutti i prodotti cinesi importati nell’UE soddisfino gli stessi parametri e garanzie di igiene e sicurezza richiesti ai produttori europei. 
-Introdurre una normativa in materia di etichettatura, che consenta la tracciabilità di tutti i prodotti commercializzati all’interno dell’UE, e garantisca quindi una informazione corretta per il consumatore; 
-Contingentare le quote d’importazione e imporre dazi e/o iva molto alti sulle importazioni dalla Cina. Utilizzare questo introito aggiuntivo per rilanciare l’industria italiana ed europea.
-Se necessario si deve arrivare all’embargo, perché la vita dei popoli e l’equità socilae sono più importanti degli alti profitti di poche, e già straicche, élites politico-economiche.

Dobbiamo tutti renderci conto che la storia è stata fatta dagli uomini e noi, in quanto uomini, possiamo cambiarla.

Pubblicato nel numero 01 di Renudo